Tertulliano
La preghiera 8,1-6
La preghiera 8,1-6
Cirillo di Alessandria
Commento a Luca, omelia 77
Poiché in precedenza Cristo ha stabilito molti splendidi
comandamenti: che gli uomini chiamino Dio loro Padre, riconoscano la
loro origine celeste, chiedano che venga il regno di Dio, non si
preoccupino di dove trarre nutrimento, tutti segni di grande speranza e
di giustizia, perciò ora viene aggiunto l’insegnamento dell’umiltà
affinché mentre dicono: non ci indurre in tentazione,
riconoscano di essere deboli e la riflessione sulla loro debolezza
elimini il motivo che li spinge a gloriarsi. Domandiamo dunque due cose:
che non ci induca in tentazione e che se ci avrà indotto in essa, ci
liberi da questo pericolo. In realtà, se Dio esaminasse gli uomini
conformemente alla verità della giustizia, nessuno potrebbe essere
salvo. Perciò difficilmente ci tenta [ci mette alla prova], conscio
della nostra debolezza. O se ci tenta non lo fa tanto al ungo così che
noi siamo vinti dalla tentazione, ma tanto quanto mostriamo di volerla
vincere; cioè, non mette alla prova la nostra virtù ma la nostra
volontà. L’aPostolo ci infonde fiducia in tal senso dicendo: Nessuna
tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e
non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze (1Cor 10,13). Volendo glorificare l’uomo lo tenta, non per glorificarlo con un grande giudizio ma per non glorificarlo senza motivo.Commento a Luca, omelia 77
Anonimo
Opera incompleta su Matteo, omelia 14
Qui Gesù ci fa comprendere chiaramente la nostra bassezza e reprime
la nostra presunzione, insegnandoci che se non dobbiamo fuggire i
combattimenti, non dobbiamo tuttavia gettarci da noi stessi in preda
alle tentazioni. Sarà così per noi più splendida la vittoria e per il
diavolo più vergognosa la sconfitta. Quando siamo trascinati alla lotta,
dobbiamo resistere con tutta la nostra fermezza e con tutto il nostro
vigore; ma quando non siamo chiamati alla battaglia, dobbiamo tenerci in
riposo, attendere il momento dello scontro, mostrando insieme umiltà e
coraggio. Dicendo liberaci dal male, intende: liberaci dal diavolo: ad
un tempo, ci spinge a combattere contro lo spirito del male una guerra
senza tregua, e dimostra che nessuno è malvagio per natura. La malizia
non deriva dalla natura, ma dalla volontà. Chiama il diavolo il male,
a causa della sua grande malizia: egli infatti, senza aver ricevuto da
noi la minima ingiuria, ci fa una guerra senza quartiere; ebbene, il
Signore ci invita a pregare, dicendo non liberaci dai malvagi, ma
liberaci dal male, per farci intendere che non dobbiamo nutrire malanimo
verso il prossimo anche quando costui ci fa del male, ma dobbiamo
rivolgere il nostro odio verso il diavolo, quale causa di tutti i mali.Opera incompleta su Matteo, omelia 14
Giovanni Crisostomo
Commento al Vangelo di Matteo 19,6
Commento al Vangelo di Matteo 19,6
Dopo tutto questo, al termine della
preghiera, viene la conclusione che riassume in breve tutte le richieste
e le nostre preghiere. Proprio alla fine diciamo: liberaci dal male,
includendo tutto ciò che il nemico ordisce contro di noi in questo
mondo, da cui ci può essere difesa certa e sicura se Dio ci libera, se
accorda il suo aiuto a noi che lo preghiamo e lo imploriamo. Quando
perciò diciamo: liberaci dal male, non rimane nient’altro da chiedere,
dato che in una sola volta domandiamo la protezione divina contro il
male. Ottenuta questa, siamo al sicuro e protetti contro tutto ciò che
il diavolo e il mondo compia. Quale timore può infatti avere colui che è
protetto da Dio in questo mondo?
Cipriano
Il Padre nostro 27
Il Padre nostro 27
Se la vita è tentazione, non è possibile
non essere tentati, ma non ci si deve far vincere dalla tentazione.
Infatti colui che è consegnato, secondo quanto ha meritato,
all’ignominia e alla vergogna, cade in tentazione, mentre colui che
vince nella lotta non può essere tentato e, al di là delle proprie
forze, non abbandonato, non cade in tentazione.
Origene
Frammento 123
Frammento 123
Come al finir dell’inverno torna la stagione estiva
e il navigante trascina in mare la nave,
il soldato ripulisce le armi e allena il cavallo per la lotta,
l’agricoltore affila la falce,
il viandante rinvigorito si accinge al lungo viaggio
e l’atleta depone le vesti e si prepara alle gare;
così anche noi, all’inizio di questo digiuno,
quasi al ritorno di una primavera spirituale
forbiamo le armi come i soldati,
affiliamo la falce come gli agricoltori
e, come nocchieri riassettiamo la nave del nostro spirito
per affrontare i flutti delle assurde passioni,
come viandanti riprendiamo il viaggio verso il cielo
e come atleti prepariamoci alla lotta
con lo spogliamento di tutto.
II fedele è agricoltore, nocchiere, soldato, atleta
e perciò viandante.
San Paolo dice:
«La nostra battaglia non è contro la carne e il sangue,
ma contro i Principati e le Potenze…
Prendete dunque l’armatura di Dio» (Ef 6,12-13).
Ecco l’atleta, ecco il soldato.
Se sei atleta, è necessario che ti presenti nudo alla lotta;
se sei soldato, devi entrare nei ranghi perfettamente armato.
Come è possibile?
Spoglio e non spoglio?
Vestito e non vestito?
Come?
Ecco: lascia gli affari terreni e sarai atleta,
rivesti gli abiti spirituali e sarai soldato.
Spogliati dalle preoccupazioni materiali;
ecco il momento della lotta.
Rivestiti delle armi spirituali.
Abbiamo ingaggiato una terribile guerra
contro i demoni, bisogna quindi essere spogli
per non dare alcun appiglio al nemico che ci combatte;
bisogna armarsi, d’altra parte, interamente,
e non esporsi a ferite mortali.
Coltiva la tua anima, strappa le spine,
semina la parola di Dio, pianta i germi della sana filosofia,
lavora con ogni diligenza ed eccoti agricoltore.
Ascolta ancora san Paolo:
«Il contadino, che lavora duramente,
dev’essere il primo a cogliere i frutti della terra» (2Tm 2,6).
Anch’egli trattava quest’arte,
tanto che scrivendo ai Corinti dice:
«lo ho piantato, Apollo ha irrigato,
ma era Dio che faceva crescere» (1Cor 3,6).
Affila la falce;
l’hai ammaccata con la voracità,
devi affilarla con il digiuno.
Giovanni Crisostomo
Omelie al popolo antiocheno 3
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Quando prendiamo tra le mani il
libro spirituale, eccitiamo il nostro spirito, raccogliamo i nostri
pensieri, cacciamo ogni preoccupazione terrena e dedichiamoci alla
lettura con molta devozione, con molta attenzione, perché ci venga
concesso di venire condotti dallo Spirito Santo alla comprensione dello
scritto, raccogliendone grande utilità. Quell’eunuco barbaro, ministro
della regina degli etiopi, che pur godeva tanta celebrità, anche
viaggiando in cocchio, neppure allora trascurava la lettura della
Scrittura, ma tenendo tra le mani il profeta [Isaia], poneva grande
attenzione alla lettura, pur non comprendendo ciò che gli stava davanti;
ma, poiché ce la metteva tutta da parte sua, diligenza, entusiasmo e
attenzione, ottenne una guida (cf. At 8,26-40).
Considera dunque che grande cosa era non trascurare la lettura scritturistica neppure durante il viaggio, neppure sedendo sul cocchio. Ascoltino questo coloro che nemmeno a casa ammettono di fare ciò, e, o perché convivono con la moglie o militano nell’esercito, o perché hanno preoccupazioni per i figli, cura per i familiari o impegni in altri affari, ritengono che non convenga loro prendersi cura di leggere le divine Scritture. Ed ecco costui era eunuco e barbaro, due circostanze sufficienti a renderlo negligente; e in più la grande dignità e le ingenti ricchezze, e il fatto che era in viaggio su di un cocchio: non è facile badare alla lettura per chi viaggia così, anzi, è assai malagevole; tuttavia il suo desiderio e il suo zelo superavano ogni impedimento: era tutto preso dalla lettura e non diceva ciò che oggi molti ripetono: «Non intendo ciò che contiene, non riesco a comprendere la profondità delle Scritture; perché devo assoggettarmi inutilmente e senza frutto alla fatica di leggere senza avere chi mi possa far da guida?». Nulla di tutto ciò pensava lui, barbaro per la lingua, ma saggio nel pensiero. Credeva che Dio non lo avrebbe disprezzato, ma gli avrebbe mandato presto l’aiuto dall’alto, se pur egli avesse posto tutto ciò che poteva da parte sua, dedicandosi alla lettura. Per questo il Padrone benigno, vedendone l’intimo desiderio, non lo trascurò e non lo abbandonò a se stesso, ma gli mandò subito un maestro.
Questo barbaro è in grado di fungere da maestro per noi tutti: a coloro che conducono una vita privata, a coloro che sono arruolati nell’esercito e a coloro che godono di autorità; in una parola, a tutti, e non solo agli uomini, ma anche alle donne, tanto più che vivono sempre in casa; e anche a quelli che hanno scelto la vita monastica. Imparino tutti che nessuna circostanza è di impedimento alla lettura delle parole divine; che è possibile farlo non solo in casa, ma anche in piazza, in viaggio, in compagnia di molti o implicati negli affari. Se faremo tutto quanto sta in noi, troveremo presto chi ci ammaestri. Il Signore, infatti, vedendo il nostro desiderio per le realtà spirituali, non ci disprezzerà, ma ci manderà una luce dal cielo e illuminerà la nostra anima. Non trascuriamo dunque, vi prego, la lettura delle Scritture.
San Giovanni Crisostomo
Omelie sul Genes
e il navigante trascina in mare la nave,
il soldato ripulisce le armi e allena il cavallo per la lotta,
l’agricoltore affila la falce,
il viandante rinvigorito si accinge al lungo viaggio
e l’atleta depone le vesti e si prepara alle gare;
così anche noi, all’inizio di questo digiuno,
quasi al ritorno di una primavera spirituale
forbiamo le armi come i soldati,
affiliamo la falce come gli agricoltori
e, come nocchieri riassettiamo la nave del nostro spirito
per affrontare i flutti delle assurde passioni,
come viandanti riprendiamo il viaggio verso il cielo
e come atleti prepariamoci alla lotta
con lo spogliamento di tutto.
II fedele è agricoltore, nocchiere, soldato, atleta
e perciò viandante.
San Paolo dice:
«La nostra battaglia non è contro la carne e il sangue,
ma contro i Principati e le Potenze…
Prendete dunque l’armatura di Dio» (Ef 6,12-13).
Ecco l’atleta, ecco il soldato.
Se sei atleta, è necessario che ti presenti nudo alla lotta;
se sei soldato, devi entrare nei ranghi perfettamente armato.
Come è possibile?
Spoglio e non spoglio?
Vestito e non vestito?
Come?
Ecco: lascia gli affari terreni e sarai atleta,
rivesti gli abiti spirituali e sarai soldato.
Spogliati dalle preoccupazioni materiali;
ecco il momento della lotta.
Rivestiti delle armi spirituali.
Abbiamo ingaggiato una terribile guerra
contro i demoni, bisogna quindi essere spogli
per non dare alcun appiglio al nemico che ci combatte;
bisogna armarsi, d’altra parte, interamente,
e non esporsi a ferite mortali.
Coltiva la tua anima, strappa le spine,
semina la parola di Dio, pianta i germi della sana filosofia,
lavora con ogni diligenza ed eccoti agricoltore.
Ascolta ancora san Paolo:
«Il contadino, che lavora duramente,
dev’essere il primo a cogliere i frutti della terra» (2Tm 2,6).
Anch’egli trattava quest’arte,
tanto che scrivendo ai Corinti dice:
«lo ho piantato, Apollo ha irrigato,
ma era Dio che faceva crescere» (1Cor 3,6).
Affila la falce;
l’hai ammaccata con la voracità,
devi affilarla con il digiuno.
Giovanni Crisostomo
Omelie al popolo antiocheno 3
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Considera dunque che grande cosa era non trascurare la lettura scritturistica neppure durante il viaggio, neppure sedendo sul cocchio. Ascoltino questo coloro che nemmeno a casa ammettono di fare ciò, e, o perché convivono con la moglie o militano nell’esercito, o perché hanno preoccupazioni per i figli, cura per i familiari o impegni in altri affari, ritengono che non convenga loro prendersi cura di leggere le divine Scritture. Ed ecco costui era eunuco e barbaro, due circostanze sufficienti a renderlo negligente; e in più la grande dignità e le ingenti ricchezze, e il fatto che era in viaggio su di un cocchio: non è facile badare alla lettura per chi viaggia così, anzi, è assai malagevole; tuttavia il suo desiderio e il suo zelo superavano ogni impedimento: era tutto preso dalla lettura e non diceva ciò che oggi molti ripetono: «Non intendo ciò che contiene, non riesco a comprendere la profondità delle Scritture; perché devo assoggettarmi inutilmente e senza frutto alla fatica di leggere senza avere chi mi possa far da guida?». Nulla di tutto ciò pensava lui, barbaro per la lingua, ma saggio nel pensiero. Credeva che Dio non lo avrebbe disprezzato, ma gli avrebbe mandato presto l’aiuto dall’alto, se pur egli avesse posto tutto ciò che poteva da parte sua, dedicandosi alla lettura. Per questo il Padrone benigno, vedendone l’intimo desiderio, non lo trascurò e non lo abbandonò a se stesso, ma gli mandò subito un maestro.
Questo barbaro è in grado di fungere da maestro per noi tutti: a coloro che conducono una vita privata, a coloro che sono arruolati nell’esercito e a coloro che godono di autorità; in una parola, a tutti, e non solo agli uomini, ma anche alle donne, tanto più che vivono sempre in casa; e anche a quelli che hanno scelto la vita monastica. Imparino tutti che nessuna circostanza è di impedimento alla lettura delle parole divine; che è possibile farlo non solo in casa, ma anche in piazza, in viaggio, in compagnia di molti o implicati negli affari. Se faremo tutto quanto sta in noi, troveremo presto chi ci ammaestri. Il Signore, infatti, vedendo il nostro desiderio per le realtà spirituali, non ci disprezzerà, ma ci manderà una luce dal cielo e illuminerà la nostra anima. Non trascuriamo dunque, vi prego, la lettura delle Scritture.
San Giovanni Crisostomo
Omelie sul Genes
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