sabato 20 aprile 2013
CELEBRE DISCORSO DEL VESCOVO MONSIGNOR STROSSMAYER DURANTE IL CONCILIO VATICANO I DEL 1870 CONTRO LA SUPREMA PRETESA DEL PAPA
Da padre Seraphim Valeriani Ropa
Venerabili Padri e
Fratelli.
Non è che tremando, ma con la coscienza libera
e tranquilla davanti a Dio che vive e mi vede, che prendo la parola in mezzo di
voi, in questa augusta assemblea.
Da che seggo qui con
voi, ho con attenzione seguiti i vostri discorsi che si son fatti in quest'aula,
sperando con vivo desiderio che un raggio di luce, scendendo dall'alto,
illuminasse gli occhi del mio intendimento, e mi permettesse votare i canoni di
questo santo concilio ecumenico, con perfetta cognizione di causa.
Penetrato della parte di responsabilità, di cui
Dio mi chiederà conto, mi sono dato a studiare con la più seria attenzione gli
scritti dell'antico e Nuovo Testamento, ed ho domandato a questi venerabili
monumenti della verità, di farmi conoscere se il santo Pontefice che ci
presiede è veramente il successore di S. Pietro, Vicario di G. C. e dottore
infallibile della Chiesa.
Per risolvere questa grave questione, ho dovuto
far tavola rasa dello stato attuale delle cose, e trasportarmi con la mente,
con in mano la fiaccola evangelica, nel tempo in cui non si conosceva né
ultramontanismo né gallicismo, e in cui la chiesa aveva per dottori san Paolo,
san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, dottori ai quali non potremmo negare la
divina autorità, senza mettere in dubbio quello che c'insegna la SANTA BIBBIA,
che è qui davanti a me, e che il Concilio di Trento ha proclamata regola della
fede e dei costumi.
Ho dunque aperte queste sacre pagine ...
Ebbene! ardirò dirlo? io nulla vi ho trovato che legittimi né da vicino né da
lontano l'opinione degli oltramontani. Di più, con mia gran meraviglia, non si
fa questione, nei giorni apostolici, né di un papa, successore di san Pietro e
vicario di G. Cristo, come di Maometto, che ancora non esisteva.
Voi, Monsignor Manning, direte che io
bestemmio; voi Monsignor Pie, che son fuori di senno; no, io non bestemmio, non
son fuori di senno, Monsignori; ora, a meno che non abbia letto tutto intero il
Nuovo Testamento, dichiaro davanti a Dio, la mano alzata verso questo gran
crocifisso, che non vi ho trovata traccia alcuna del papato, come esiste
attualmente.
Non mi recusate, venerabili fratelli, la vostra
attenzione, e con i vostri mormorii e interruzioni non giustificate coloro che
dicono, come il padre Giacinto, che questo Concilio non è libero, e che i
nostri voti ci sono stati in precedenza imposti. Dopo ciò, questa augusta
assemblea, sulla quale son rivolti gli occhi del mondo intero, cadrebbe nel più
vergognoso disprezzo. Se vogliamo farla grande, siamo liberi.
Ringrazio S. E. Mons. Dupanloup del suo segno
d'approvazione che fa con la testa; ciò mi dà coraggio e continuo.
Leggendo dunque con quella attenzione, di cui
il Signore mi ha fatto capace, i sacri libri, non vi ho trovato un sol
capitolo, un sol versetto, nel quale G. Cristo commetta a S. Pietro di
ammaestrare gli apostoli, suoi compagni d'opera.
Se Simone, figlio di Giona, fosse stato quello
che noi crediamo esser oggi S. S. Pio IX, fa meraviglia come non abbia detto
loro: Quando sarò salito presso mio Padre, voi tutti obbedirete a Simon Pietro,
come obbedite a me; io lo stabilisco mio vicario sulla terra.
Nè solamente Cristo su questo punto, ma ancora
pensa sì poco a dare un capo alla Chiesa, che quando promette dei troni a' suoi
apostoli, per giudicare le dodici tribù di Israele, (Matt. XIX 28) glie ne
promette dodici, uno per ciascuno, senza dire che fra questi troni, ve ne sarà
uno più alto degli altri, che spetterà a Pietro. Certamente, se avesse voluto
che fosse così, lo avrebbe detto: che cosa concludere dal suo silenzio? La
logica lo dice: che Cristo non ha voluto fare di S. Pietro il capo del collegio
apostolico.
Quando Cristo manda gli apostoli alla conquista
del mondo, a tutti ugualmente dà il potere di sciogliere e legare: a tutti fa
la promessa dello Spirito Santo. Permettetemi che lo ripeta: se avesse voluto
costituire Pietro suo vicario, gli avrebbe dato il comando in capo della sua
milizia spirituale.
Cristo, lo dice la S. Scrittura, proibisce a
Pietro ed ai suoi colleghi di regnare, signoreggiare e aver potestà sui fedeli,
siccome usano i re delle genti (Luca XXII 25). Se S. Pietro fosse stato eletto
papa, Gesù non avrebbe parlato così, imperocchè, secondo le nostre tradizioni,
il papato tiene nelle sue mani due spade, simbolo del potere spirituale e
temporale.
Un fatto mi ha vivamente meravigliato:
constatandolo, diceva a me stesso: Se Pietro fosse stato eletto papa, i suoi
colleghi si sarebbero permessi di mandarlo con S. Giovanni in Samaria, per
annunziarvi l'Evangelo del figlio di Dio? (Atti VIII, 14).
Che pensereste, venerabili fratelli, se in
questo momento noi ci permettessimo deputare S. S. Pio IX e S. E. Monsignor
Plantier a recarsi dal patriarca di Costantinopoli, per impegnarlo a far
cessare lo scisma orientale?
Ma ecco un altro fatto più importante. Un
concilio ecumenico è riunito a Gerusalemme, per decidere sulle questioni che
dividono i fedeli. Chi avrebbe convocato quel concilio, se S. Pietro fosse
stato papa? S. Pietro: chi lo avrebbe presieduto? S. Pietro o i suoi legati;
chi ne avrebbe formulati e promulgati i canoni? S. Pietro: Ebbene! Nulla di
tutto questo avviene. L'apostolo assiste al concilio, come tutti gli altri suoi
colleghi: non è lui che ne prende le conclusioni, ma S. Giacomo, e quando se ne
promulgano i decreti, è a nome degli apostoli, degli anziani e dei fratelli.
(Atti XV.)
È così che facciamo noi nella nostra chiesa?
Più che mi addentro, o venerabili fratelli, nel mio esame, più mi convinco che
nella Santa Scrittura non apparisce primato nel figliuolo di Giona: ora, mentre
che noi insegniamo che la Chiesa è fabbricata sopra S. Pietro, S. Paolo, la cui
autorità non può esser messa in dubbio, ci dice nella sua lettera agli Efesi
(II, 20) essere edificata sopra il fondamento degli apostoli e de' profeti,
essendo G. C. stesso la pietra del capo del cantone.
E il medesimo apostolo crede così poco alla
supremazia di san Pietro, che biasima apertamente quelli che dicono: Noi siamo
di Paolo, noi siamo d'Apollo, (Corinti I, 12) come quelli che direbbero: noi
siamo di Pietro. Se dunque quest'ultimo apostolo fosse stato vicario di G.
Cristo, S. Paolo si sarebbe guardato bene di censurare così violentemente
quelli che si attenevano al suo collega.
Lo stesso apostolo Paolo, enumerando le cariche
della Chiesa, rammenta gli Apostoli, i Profeti, gli Evangelisti, i Dottori, i
Pastori.
È egli credibile, venerabili fratelli, che S.
Paolo, il gran dottore delle genti, avesse dimenticata la prima delle cariche,
il papato, se il papato fosse stato d'istituzione divina? Questa dimenticanza
non mi è sembrata possibile, come sarebbe quella di uno storico di questo
concilio, che non dicesse una parola di S. Santità Pio Nono. (Alcune voci:
Silenzio, eretico, silenzio!)
Moderatevi, venerabili fratelli, non ho ancora
detto tutto; impedendomi di continuare, mostrereste al mondo di aver torto e di
aver chiusa la bocca al più piccolo membro di quest'assemblea. Continuo.
L'apostolo Paolo, in alcuna delle sue lettere
dirette alle varie chiese, non fa menzione del primato di Pietro. Se questo
primato fosse esistito, se in una parola, la Chiesa avesse avuto nel suo seno
un capo supremo, infallibile nello insegnare il gran dottore delle genti
avrebb'egli dimenticato di tenerne parola? Che dico io? Avrebbe scritta una
lunga lettera su questo importante e capitale subietto. Allora quando, com'egli
ha fatto, si erige l'edificio della dogmatica cristiana, può dimenticarsi il
fondamento, la chiave della volta? Ora, a meno che non si ritenga per eretica
la chiesa apostolica, ciò che noi non vorremo né oseremo dire, siamo costretti
a convenire che la Chiesa non è mai stata nè più bella, nè più pura, nè più
santa, come nei giorni, nei quali non aveva il papa. (Voci: Non è vero. Non è
vero.)
Monsignore de Laval non dica no, poiché se
alcuno di voi, venerabili fratelli, ardisse pensare che la Chiesa che ha oggi
un papa per capo, è più ferma nella fede, più pura nei costumi della Chiesa
Apostolica, lo dica apertamente in faccia all'Universo, imperocchè questo è il
centro, da cui le nostre parole volano da un polo all'altro. Proseguo.
Non negli scritti di S. Paolo, nè in quelli di
S. Giovanni, o di S. Giacomo, ho trovato traccia o germe del potere papale. S.
Luca, lo storico dei lavori missionari degli apostoli, tace su questo punto
capitale.
Il silenzio di questi santi uomini, i cui
scritti fan parte del canone delle Scritture divinamente ispirate, mi è parso
aggravante, e impossibile, se Pietro fosse stato papa, come non sarebbe
giustificabile quello di Thiers se omettesse nella storia di Napoleone
Bonaparte il titolo d’imperatore.
Sento là, davanti a me, un membro
dell'assemblea che dice, mostrandomi a dito: È un vescovo scismatico,
introdottosi fra noi sotto falso nome.
No, no, venerabili fratelli, io non sono
entrato in questa augusta assemblea, come un ladro per la finestra; ma sibbene
dalla porta come voi: il mio titolo di vescovo me ne dava il diritto, come la
mi coscienza di cristiano m'impone parlare e dire quello che credo esser vero.
Ciò che mi ha maggiormente stupito, e più di
quello che potrei dimostrare, è il silenzio di S. Pietro. Se l'apostolo fosse
stato quello che noi proclamiamo essere, cioè il vicario di G. Cristo sulla
terra, egli avrebbe dovuto saperlo: se lo ha saputo, come mai neppure una
volta, una volta sola non ha fatto da papa? Avrebbe potuto farlo il giorno
della Pentecoste, quando pronunziò il suo primo discorso, e non lo fece: al
concilio di Gerusalemme, e non lo fece: ad Antiochia, e non lo fece: nelle due
lettere dirette alla chiesa, e non lo fece: immaginate voi un tal papa,
venerabili fratelli, se S. Pietro fosse stato papa?
Se dunque vuolsi sostenere che egli è stato
papa, ne nasce la naturale conseguenza che bisogna del pari sostenere che non
ha saputo di esserlo; ora io domando a chiunque ha testa che pensa e mente per
riflettere, sono possibili queste due supposizioni?
Riassumendo, dico: Mentre vivevano gli
apostoli, la Chiesa non ha mai pensato che potesse esservi un papa: per
sostenere il contrario, bisognerebbe dare alle fiamme gli scritti sacri, o
ignorarli affatto.
Sento da tutte le parti dire: ma S. Pietro non
è stato a Roma? Non vi è stato crocifisso col capo all'ingiù? La sedia sulla
quale insegnava e l'altare su cui diceva la messa, non sono in questa città
eterna?
La dimora di S. Pietro a Roma, venerabili
fratelli, non ha altra prova che la tradizione: ma se egli fosse stato vescovo
di Roma, che forse dal suo vescovato in questa città, potrà trarsi e concludere
per la sua supremazia? Un dotto di primo ordine, lo Scaligero, non ha esitato
dire, che il vescovato e la dimora di S. Pietro a Roma debbono essere posti fra
le ridicole leggende. (Grida ripetute: Toglietegli la parola, toglietegli la
parola! Discenda dall'ambone!)
Venerabili fratelli, son pronto a tacermi, ma
non è egli più conveniente in un assemblea, quale è la nostra, esaminar tutto,
siccome lo comanda l'apostolo e credere ciò ch'è buono? Ma, venerabili, noi
abbiamo un dittatore, davanti al quale tutti dobbiamo prostrarci e tacere,
anche Sua Santità Pio IX e abbassare la testa. Questo dittatore è la storia.
Essa non è come la leggenda, di cui si è fatto
quello, che il vasellaio fa dell'argilla: è il diamante che incide sul vetro
parole incancellabili. Finora non mi sono appoggiato che su lei, e se non ho
trovato traccia del papato nei giorni apostolici, mia non è la colpa, ma sua.
Volete mettermi in stato di accusa per delitto di falso? Padroni di farlo.
Mi giungono dalla destra queste parole: Tu sei
Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Matt. XVI.
Fra poco, venerabili fratelli, risponderò a
questo obietto: ma prima di farlo, debbo presentarvi il resultamento delle mie
ricerche storiche.
Non trovando traccia del papato nei giorni
apostolici, ho detto fra me: Troverai quello che cerchi negli annali della
Chiesa. Ebbene! lo dirò francamente: ho cercato un papa nei primi quattro
secoli e non l'ho trovato.
Nessuno di voi, spero, vorrà contestare la
grande autorità del santo vescovo d'Ippona, il grande e beato s. Agostino.
Questo pio dottore, onore e gloria della Chiesa cattolica, era segretario nel
concilio Melivetano. Nei decreti di quella venerabile assemblea si leggono
queste significanti parole: Chiunque vorrà appellare AL DI LA' DEL MARE, non
sia ricevuto da alcuno, in Affrica, alla comunione.
I vescovi d'Affrica riconoscevano sì poco la
supremazia del vescovo di Roma, che colpivano di scomunica coloro che a lui
ricorressero in appello.
Questi medesimi vescovi, nel sesto concilio di
Cartagine, tenuto sotto Aurelio, vescovo di quella città scrissero a Celestino
vescovo di Roma, avvertendolo che non ricevesse appelli dei vescovi, preti e
chierici d'Affrica: che non mandasse più legati, nè commissari, e che non
introducesse l'orgoglio umano nella Chiesa.
Che il patriarca di Roma abbia pensato fino dai
primi tempi a trarre a sè tutta l'autorità, è un fatto evidente: ma è fatto del
pari indubitato che egli non aveva la supremazia, che gli oltramontani gli
attribuiscono: se l'avesse avuta, i vescovi d'Affrica, S. Agostino il primo,
avrebbero ardito proibire di appellare dai loro decreti al suo tribunale
supremo?
Confesso senza difficoltà che il partriarcato
di Roma teneva il primo posto: una legge di Giustiniano dice "Ordiniamo,
dietro la definizione dei quattro concilii, che il santissimo papa della
vecchia Roma sia il primo dei vescovi, e che l'altissimo arcivescovo di
Costantinopoli, che è la nuova Roma, sia il secondo."
Inchinati dunque alla supremazia del papa, mi
direte.
Non siate si corrivi a questa conclusione,
venerabili fratelli, imperciocchè la legge di Giustiniano ha scritto in fronte
"dell'ordine delle sedute dei pariarchi" Altra cosa dunque è la
precedenza, altra il potere di giurisdizione: così, per esempio, supponiamo che
in Firenze fosse una riunione di tutti i vescovi del regno: la precedenza
sarebbe data al primate di Firenze, come presso gli orientali è accordata al
Patriarca di Costantinopoli, e in Inghilterra all'arcivescovo di Cantorbery. Ma
nè il primo, nè il secondo, nè il terzo potrebbero dedurre dal posto che
sarebbe loro assegnato, una giurisdizione sui loro colleghi.
La importanza dei vescovi di Roma proveniva,
non da un potere divino, ma dalla considerazione della città, in cui avevano la
loro sede. Monsignor Darboy non è superiore in dignità all'arcivescovo di
Avignone: non per tanto, Parigi gli dà una considerazione che non avrebbe, se
in vece di avere il suo palazzo sulle rive della Senna, lo avesse su quelle del
Rodano. Quel che è vero nell'ordine religioso, lo è pure nel civile e politico:
il prefetto di Firenze non è più prefetto di quello di Pisa: ma civilmente e
politicamente ha una maggiore importanza.
Ho detto che il patriarca di Roma aspirò fino
dai primi secoli al governo universale della chiesa. Sventuratamente vi giunse
in appresso: ma certamente non lo aveva allora poichè, non ostante le sue
pretese, l'imperatore Teodosio II. fece una legge con la quale stabilì che il
patriarca di Costantinopoli aveva la medesima autorità , che quello di Roma.
Leg. Cod. de Scr. ecc.
I padri del concilio di Calcedonia posero il
vescovo della antica e nuova Roma al medesimo ordine in tutte le cose, anche
nelle ecclesiastiche. Can. 28.
Il sesto concilio di Cartagine proibì ai
vescovi tutti di prendere il titolo di principe dei vescovi, o di vescovo
sovrano.
Quanto al titolo di vescovo universale, che i
papi presero più tardi, S. Gregorio I, credendo che i suoi successori non se ne
sarebbero mai fregiati, scrisse queste notevoli parole: "Nessuno de’ miei
predecessori ha consentito di prendere questo nome profano, imperocchè quando
un patriarca si dà il nome di universale, il titolo di patriarca ne soffre di
discredito. Lungi dunque dal cristiano il desiderio di darsi un titolo che lo
discredita fra i suoi fratelli!"
Le parole di S. Gregorio sono dirette al suo
collega di Costantinopoli, che pretendeva al primato nella chiesa. Il papa
Pelagio II chiama Giovanni, vescovo di Costantinopoli, che aspirava al
pontificato massimo, empio, e profano "Non vi curate, egli dice del titolo
di universale, che Giovanni usurpò illegalmente: che nessuno dei patriarchi
prenda questo nome profano: imperocchè, quale sventura non dovremo aspettarci,
se fra i preti sorgono tali elementi? Si avvererebbe quello che è stato
predetto. – È il re dei figli dell’orgoglio. (Pelagio II. lett. 13)"
Queste autorità, e ne avrei cento altre di
ugual valore, non provano esse, con chiarezza pari allo splendore del sole a
mezzogiorno, che i primi vescovi di Roma non sono stati che molto tardi
riconosciuti per vescovi universali e capi della chiesa?
E d’altra parte, chi non sa come dall’anno 225,
in cui si tenne il primo concilio di Nicea, fino al 580 in cui si tenne il
secondo ecumenico di Costantinopoli, sopra 1109 vescovi che assisterono ai sei
primi concilii generali, non vi furono presenti che 19 vescovi occidentali?
Chi non sa che i concili erano convocati dagli
imperatori, senza prevenire, e qualche volta contro la volontà del vescovo di
Roma? Che Osio vescovo di Cordova, presiedè il primo concilio di Nicea e ne
redigè i canoni? Lo stesso Osio presiedè di poi il concilio di Sardica,
escludendone i legati di Giulio vescovo di Roma: non insisto di più, venerabili
fratelli, e vengo a parlare del grande argomento, che ponete innanzi, per
istabilire il primato del vescovo di Roma.
Per la pietra, sulla quale la Santa Chiesa è
fabbricata, voi intendete Pietro. Se fosse vero, la disputa sarebbe terminata:
ma i nostri antenati, e certamente sapevano qualche cosa, non la pensavano come
noi.
S. Cirillo, nel suo quarto libro sulla Trinità,
dice "Io credo che per la pietra, bisogna intendere la incrollabile fede
dell’apostolo". S. Ilario, vescovo di Poitiers, nel suo secondo libro
sulla Trinità dice "La pietra (petra), è la beata ed unica pietra della
fede confessata per bocca di S. Pietro: ed è, dice nel sesto libro della
Trinità, su questa pietra della confessione, che la chiesa è edificata.
"Dio, dice S. Girolamo, nel 6° libro di S. Matteo, ha fondato la sua
chiesa su questa pietra ed è su questa pietra che l’apostolo Pietro è stato
nominato." Dopo lui, S. Grisostomo dice, nella sua 53 omelia sopra S.
Matteo". Su questa pietra edificherò la mia chiesa, cioè sulla fede della
confessione: or qual era la confessione dell’apostolo? Eccola "Tu sei il
Cristo, il figlio di Dio vivente."
Ambrogio, il santo arcivescovo di Milano, nel
secondo capitolo agli Efesi, S. Basilio di Seleucia, ed i padri del Concilio di
Calcedonia insegnano esattamente la medesima cosa.
Di tutti i dottori della antichità cristiana,
S. Agostino è quello, che occupa uno dei primi posti nella Chiesa, per la
scienza e santità. Ascoltate dunque ciò ch’egli scrive nel suo secondo trattato
sulla prima lettera di S. Giovanni. "Che cosa vogliono dire le parole.
"Io edificherò la mia chiesa su questa pietra? Su questa fede, su quello
che è detto. Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente."
Nel suo 124° trattato sopra S. Giovanni,
troviamo questa significantissima frase "Sopra questa pietra che tu hai
confessato, io edificherò la mia chiesa, imperocchè Cristo era la pietra."
Il gran vescovo credeva tanto poco che la
chiesa fosse fabbricata su S. Pietro, che diceva a’ suoi fedeli nel suo 13
sermone. "Tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessato, su
questa pietra, che tu hai conosciuto dicendo – Tu sei Cristo, il figlio di Dio
vivente – io edificherò la mia chiesa sopra me stesso, che sono il figlio di
Dio vivente: io la edificherò su ME, E NON ME SU TE."
Quello che S. Agostino pensava sopra questo
celebre passo, era la opinione di tutta la cristianità del suo tempo. Dunque
riassumendo, stabilisco:
1° Che Gesù ha dato agli apostoli il medesimo
potere che a san Pietro;
2° Che gli apostoli non hanno mai riconosciuto
in S. Pietro il vicario di Gesù Cristo e il dottore infallibile della chiesa;
3° Che S. Pietro non ha mai pensato di essere
papa, e non ha mai fatto da papa;
4° Che i concilii dei quattro primi secoli,
mentre riconoscevano l’alto posto, che il vescovo di Roma occupava nella
Chiesa, appunto per cagione di Roma, non gli hanno accordato che una preminenza
d’onore, mai un potere, nè una giurisdizione;
5° Che i SS. Padri nel famoso passo "Tu
sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa" non hanno mai
inteso che la Chiesa fosse edificata su Pietro (super Petrum), ma sulla pietra
(super petram), cioè sulla confessione della fede dell’apostolo.
Concluderò vittoriosamente con la storia, con
la ragione, con la logica, col buon senso e con la coscienza cristiana, che
Gesù Cristo non ha conferito alcuna supremazia a S. Pietro, e che i vescovi di
Roma non son divenuti sovrani della Chiesa, se non che confiscando ad uno ad
uno tutti i diritti dell’episcopato. (voci: Taccia lo sfacciato protestante,
taccia!)
Io sono uno sfacciato protestante!… Nò, mille
volte no!
La storia non è nè cattolica, nè anglicana, nè
calvinista, nè luterana, nè armena, nè greca scismatica, nè oltramontana: ella
è quello che è, cioè qualche cosa di più forte di tutte le confessioni di fede
dei canoni dei concilii ecumenici.
Scrivete in falso contro di lei, se lo ardite:
ma voi non potete distruggerla, come un mattone tolto dal Colosseo non lo
farebbe cadere. Se ho detto qualche cosa che la storia dimostri in contrario,
mi si faccia conoscere con la storia, e senza esitare un momento, farò
onorevole ammenda: ma siate pazienti e vedrete che non ho detto tutto ciò che
io voleva e doveva: quando anche il rogo mi attendesse sulla piazza di S.
Pietro, io non debbo tacere e mi è obbligo continuare.
Monsignor Dupanloup, nelle sue celebri
Osservazioni su questo concilio del Vaticano, ha detto e con ragione, che se
noi dichiariamo Pio IX infallibile, siamo per necessaria e naturale logica
obbligati a ritenere infallibili tutti i suoi antecessori. Or bene! Venerabili
fratelli, ecco la storia che alza la sua voce autorevole, per assicurarvi che
alcuni papi hanno errato: avete un bel protestare, un negare, io vi dirò con
quella:
Papa Vittore (192) approvò il montanismo, poi
lo condannò.
Marcellino(296, 303) fu idolatra, entrò nel
tempio di Vesta e offrì incensi alla dea. Voi direte fu un atto di debolezza:
ma io risponderò: un Vicario di Gesù Cristo muore ma non diviene apostata.
Liberio (358) consentì alla condanna di
Anatasio e fece professione di Arianismo, per esser richiamato dall’esilio e
reintegrato nel suo seggio.
Onorio (625) aderì al monotelismo: il padre
Gratry lo ha alla evidenza dimostrato.
Gregorio I (578-90) chiama anticristo colui,
che prende il nome di Vescovo universale, e al contrario Bonifazio III. (607-8)
si fa conferire questo titolo dal parricida imperatore Foca.
Pasquale II. (1088-1099) ed Eugenio III. (1145
- 1153) autorizzano il duello: Giulio II. (1509) e Pio IV. (1560) lo
proibiscono.
Eugenio IV. (1431-39) approva il Concilio di
Basilea e la restituzione del calice alle chiese di Boemia: Pio II. (1658)
revoca la concessione.
Adriano II. (867-872) dichiara valido il
matrimonio civile, Pio VII. (1800-23) lo condanna. Sisto V. (1585-1590)
pubblica un edizione della Bibbia e ne raccomanda la lettura con una Bolla: Pio
VII ne condanna la lettura.
Clemente XIV (1700-21) abolisce l’Ordine dei
Gesuiti, permesso da Paolo III: Pio VII. lo ristabilisce.
Ma perché cercare delle prove così remote? Il
nostro santo padre Pio IX, qui presente, nella sua bolla che dà le norme per il
concilio, nel caso in cui egli morisse, mentre è aperto, non ha revocato tutto
quello che in passato gli sarebbe contrario anche quando provenisse
da decisioni de’ suoi predecessori? E certamente se Pio IX ha parlato
ex cattedra, non è quando dal fondo del suo sepolcro impone le sue volontà
ai sovrani della Chiesa.
Non terminerei più, Venerabili fratelli, se
ponessi davanti ai vostri occhi le contraddizioni dei papi nei loro
insegnamenti. Se voi dunque proclamate la infallibilità del papa attuale,
bisognerà forzatamente, o che voi proviate ciò che è impossibile, che i papi
non si sono contraddetti oppure che dichiariate che lo Spirito Santo
vi ha rivelato che la infallibilità papale non data che dal 1870. Avrete voi
tanto ardimento?
I popoli passeranno indifferenti forse accanto
a questioni teologiche, delle quali non intendono e non sentono la importanza:
ma per quanto siano indifferenti ai principi, non lo sono punto dei fatti. Ora
non v’illudete! se decretate il dogma della infallibilità papale, i
protestanti, nostri avversari, monteranno sulla breccia tanto più arditi, in
quanto che avranno contro di noi e in loro favore, la storia, mentre noi non
avremo contro loro, che le nostre negative. Che cosa diremo loro quando faranno
marciare davanti al pubblico i vescovi di Roma da Luca a sua santità Pio Nono?
Ah! se tutti fossero stati come Pio IX, noi
trionferemmo su tutta la linea; ma ohimè! non è così..- Grida: silenzio,
silenzio! basta, basta!
Non gridate, Monsignori! Temere la storia è
darsi per vinti: e d'altronde se faceste passare sopra di lei le
acque del Tevere, non ne cancellereste una pagina. Lasciatemi parlare e sarò
breve, per quanto il comporta questo importante subietto.
Il papa Vigilio (538) comprò il papato da
Belisario, luogotenente dell’imperatore Giustiniano: è vero che, rompendo la
promessa, pagò nulla.
È egli canonico questo mezzo di cingere la
tiara? Il secondo Concilio di Calcedonia l’aveva formalmente condannato. In uno
dei suoi canoni si legge "che il vescovo, il quale ottiene il vescovato
per danari, lo perda e sia degradato".
Il papa Eugenio IV. (1145) imitò Vigilio. San
Bernardo, fulgida stella del suo secolo, rimproverò il papa dicendogli:
"Potresti indicarmi alcuno in questa gran città di Roma, che ti abbia
ricevuto per papa, senza che abbia ricevuto oro od argento?"
Un papa, Venerabili fratelli, che erige banco
alle porte del tempio, sarà egli inspirato dallo Spirito Santo? Avrà diritto
d’insegnare infallibilmente alla Chiesa?
Conoscete pur troppo la storia di Formoso,
perchè io la renda più grave. Stefano XI. fece disseppellire il suo corpo,
vestirlo di abiti pontificali, e tagliategli le dita, con le quali dava la
benedizione lo fece gettare nel Tevere, e lo dichiarò spergiuro e illegittimo.
Egli poi fu dal popolo imprigionato, avvelenato e strangolato: ma vedete il
giusto rimetter delle cose: Romano successore di Stefano e dopo lui, Giovanni
X, riabilitarono la memoria di Formoso.
Ma direte, queste son favole, non storia. Favole!
andate Monsignori, andate alla biblioteca vaticana, e leggete il Platina, lo
storico del papato e gli annali del Baronio (anno 897).
Vi sono dei fatti che vorremmo cancellare, per
l’onore della santa Sede; ma quando si tratta di definire un domma, che può
provocare un gran scisma in mezzo di noi, l’amore che portiamo alla nostra
venerabile madre Chiesa cattolica, apostolica e romana, c’impone silenzio –
Aggiungo.
Il dotto Cardinale Baronio, parlando della
corte papale, dice (prestate attenzione Venerabili fratelli, a queste parole)
"Qual era in quel tempo la faccia della Chiesa romana, e come obbrobriosa,
non dominando a Roma che onnipossenti cortigiane? Esse erano quelle che davano,
permutavano, toglievano vescovati, e orribil cosa a credersi, i loro amanti, i
falsi papi, venivan posti sul trono di san Pietro. (Baronio anno 912)."
Quelli erano falsi papi, non veri, si replica:
e sia pure: ma in tal caso, Venerabili fratelli, se per cinquanta anni la sede
di Roma non è stata occupata che da antipapi, come troverete voi il filo della
successione pontificale?
La chiesa ha ella potuto fare a meno per un
secolo e mezzo del suo capo, e trovarsi acefala? Vedete! La maggior parte di
questi antipapi figurano nell’albero genealogico del papato, e certamente
bisognava bene che fossero tali, quali Baronio li dipinge, perchè Genebrardo,
il grande adulatore dei papi, abbia osato dire nelle sue cronache (anno 901).
"Questo secolo è sventurato, imperocchè per 150 anni circa, i papi sono
del tutto decaduti dalle virtù dei loro antecessori, essendo piuttosto
apostati, che apostolici."
Capisco come l’illustre Baronio abbia dovuto,
narrando questi fatti dei vescovi di Roma, sentirsi arrossire il volto.
Parlando di Giovanni XI. (931), bastardo di papa Sergio e di Marozia, quegli
scriveva queste parole nei suoi annali. "La santa Chiesa, cioè la romana,
ha dovuto vilmente esser calpestata da un tal mostro". Giovanni XII (946)
eletto papa a 18 anni per influenza di cortigiane, non era punto meglio del suo
antecessore.
Deploro, Venerabili fratelli, di agitare tanto
laidume: mi taccio di Alessandro VI., padre e amante di Lucrezia: trasvolo su
Giovanni XXII. (1316), che negava l’immortalità dell’anima e fu deposto dal
santo concilio ecumenico di Costanza.
Alcuni asseriscono che questo concilio non
fosse che un concilio particolare. E sia pure: ma se gli ricusate ogni
autorità, per essere logicamente conseguenti, bisogna tenere per illegale la
nomina di Martino V. (1417). Che cosa avverrà allora della successione papale?
Potrete voi trovarne il bandolo?
Non parlo degli scismi che hanno disonorato la
chiesa. In codesti sventurati giorni, la sede di Roma era occupata da due, e
qualche volta da tre competitori: quale di questi era il vero papa?
Riassumendomi dico, se voi decretate la infallibilità
dell’attuale vescovo di Roma, vi abbisognerà stabilire la infallibilità di
tutti i precedenti, senza escluderne alcuno: ma lo potrete voi, quando la
storia è là, che stabilisce con chiarezza eguale a quella del sole, che i papi
hanno errato nei loro insegnamenti? Lo potrete voi, sostenendo che dei papi
avari, incestuosi, omicidi, simoniaci sono stati vicari di Gesù Cristo? Oh!
Venerabili fratelli, sostenere tale enormità, sarebbe tradire Cristo peggio di
Giuda: sarebbe gettargli del fango nel volto. (Grida: Giù dal pulpito! zitto,
silenzio l’eretico!)
Venerabili fratelli, voi gridate: ma non
sarebbe cosa più dignitosa pesare le mie ragioni e le mie prove sulla bilancia
del santuario? Credetemi, la storia non si rifà: ella è là e lo sarà in eterno
per protestare energicamente contro il domma della infallibilità papale. Voi lo
ploclamerete all’unanimità, ma meno un voto, il mio!
I veri fedeli, Monsignori, hanno gli occhi su
noi, attendono da noi il rimedio agl’innumerevoli mali che disonorano la
Chiesa: gl’inganneremo nelle loro speranze? Qual non sarebbe innanzi a Dio la
nostra responsabilità, se ci lasciassimo fuggire questa solenne occasione che
Dio ci ha data, per render salda la vera fede?
Afferriamola, fratelli; armiamoci di un santo
coraggio; facciamo un violento e generoso sforzo; torniamo agl’insegnamenti
apostolici: imperocchè, fuori di questi, non abbiamo che errori, tenebre e
false tradizioni.
Valghiamoci della nostra ragione e della nostra
intelligenza, per avere gli apostoli e profeti a nostri soli maestri
infallibili, intorno alla domanda per eccellenza "che mi convien fare per
essere salvato?" Ciò deciso, noi avremo posta la base della nostra
dommatica.
Fermi ed immobili sulla roccia stabile e
incrollabile della Santa Scrittura, divinamente inspirata, fiduciosi andremo
innanzi al secolo, e come l’apostolo Paolo, in presenza dei liberi pensatori,
non vorremo saper altro che G. Cristo, e Gesù Cristo crocifisso: lo
conquisteremo con la predicazione della follìa della croce, come Paolo conquistò
i retori di Grecia e di Roma, e la Chiesa romana avrà il suo glorioso 89. –
(Grida clamorose – Abbasso, fuori il protestante, il calvinista, il traditore
della chiesa!)
Le vostre grida, Monsignori, non mi spaventano:
se il mio dire è caldo, la testa è fredda: io non sono nè di Lutero nè di
Calvino, nè di Paolo, nè di Apollo, ma di Cristo. – (Nuove grida – Anatema,
Anatema all’apostata!)
Anatema! Monsignori, Anatema! voi sapete bene
che non protestate contro di me, ma contro i santi apostoli, sotto la cui
protezione vorrei che questo concilio ponesse la Chiesa. Ah! se coperti dei
loro sudarii, uscissero dalle loro tombe, vi parlerebbero essi un linguaggio
differente dal mio?
Che cosa direste loro, quando coi loro scritti
vi dicessero che il papato ha deviato dal Vangelo del figlio di Dio, che essi
con tanto coraggio hanno predicato e confermato col loro generoso sangue?
Ardireste dir loro: Noi preferiamo ai vostri insegnamenti quelli dei nostri
papi, dei nostri Bellarmino, e Ignazio di Loiola? Nò, nò, mille volte nò, a
meno che non abbiate chiuse le orecchie per non udire, gli occhi bendati per
non vedere, la intelligenza ottusa per non intendere.
Ah! se colui che regna nei cieli vuole
aggravare su noi la sua mano, siccome fece su Faraone, non ha bisogno di
permettere ai soldati di Garibaldi di scacciarci dalla città eterna, non ha che
lasciar fare di Pio IX un Dio, come abbiamo fatto della Beata Vergine una dea.
Fermatevi fermatevi, Venerabili fratelli, sul
pendio odioso e ridicolo, su cui vi siete posti. Salvate la Chiesa dal
naufragio che la minaccia, domandando alle sole sante scritture la regola di
fede, che dobbiamo credere e professare. Ho detto. Dio mi aiuti!
Queste ultime parole furono ricevute con i più
plateali segni di disapprovazione. Tutti i padri si alzarono; molti uscirono
dalla sala; buon numero di Italiani, Americani, Tedeschi, e un piccol drappello
di Francesi ed Inglesi circondarono il coraggioso oratore, gli strinsero
fraternamente la mano, e gli mostrarono esser concordi nel suo modo di pensare.
Questo discorso nel secolo XVI avrebbe
procurato al coraggioso vescovo la gloria di morire sul rogo: nel secolo
attuale, provoca lo sdegno di Pio IX e di tutti coloro che vogliono abusare
della ignoranza dei popoli.
Poveri ciechi! "Cadranno nella fossa
ch’eglino stessi hanno fatta" Salmo VII 15.
vescovo Georg
Joseph ( o Juraj Josip ) Strossmayer
vescovo di Ðakovo (Croazia)
Josip Juraj Strossmayer (Osijek, 4 febbraio
1815 – Đakovo, 8 maggio 1905) è stato un vescovo cattolico croato.
Strossmayer fu eletto vescovo di Ðakovo l'8
novembre 1849 e conservò la stessa cattedra episcopale fino alla morte. Fu un
vescovo mecenate e la sua attività di promozione culturale segnò il risveglio
della cultura croata nell’Ottocento. Diede vita assieme a Rački e a Jagić ad
alcune delle più importanti istituzioni culturali croate: l’Accademia jugoslava
(1867) a Zagabria, l’università di Zagabria (1874) e la Galleria delle belle
arti (1884). Amico di Mihajlo Obrenović, sotto il suo auspicio vennero
rafforzate alcune istituzioni culturali preesistenti. Incentivò la nascita di
giornali e di riviste letterarie e scientifiche.
Grazie al suo supporto Dimitr Miladinov
pubblicò a Zagabria nel 1861 i "Canti popolari bulgari raccolti dai
fratelli Miladinov Dimitr e Konstantin ed editi da Konstantin"; grazie a
lui emerse anche la giovane Maria Jurić Zagorka poi scrittrice croata di
successo del primo Novecento.
Al Concilio Vaticano I si mantenne su posizioni
antiinfallibiliste.
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